Rifondare l'opposizione
Quando sono in giro per convegni e conferenze capita sempre, a un certo punto, che qualcuno mi chieda: ma come se ne esce? In questi casi confesso di non avere una risposta; non si supera la volontà popolare, disinformata e meschina che sia. Poi qualcuno più subdolo, in buona o mala fede, allude a una “nuova resistenza”. Non mi sottraggo: spiego che scendere sullo stesso terreno di B&C, condividere le sue illegalità, addirittura porsi fuori dei principi democratici impedirebbe di proporci come valida alternativa. Ma, quando mi fanno osservare che dico solo ciò che non si deve fare e che però non propongo soluzioni costruttive, devo ammettere che hanno ragione.
Oggi ho le idee chiare. E il merito è tutto di B&C. In questi giorni ho fatto un tifo sfegatato per B; ho sperato che i suoi acquisti andassero a buon fine e che riuscisse a comprare un numero sufficiente di C mascherati. Ho pensato che l’esibizione spregiudicata di un Parlamento-mercato valesse più di centinaia di dotti articoli. Ho pensato che lo spettacolo di patetici figuri impegnati a spiegare come, a due o tre giorni da un voto decisivo, avevano improvvisamente visto una grande luce avrebbe indignato i cittadini. Ho pensato che la constatazione di questo abisso etico e politico sarebbe stata l’occasione di un nuovo inizio. Ho pensato: se si riesce a votare abbastanza in fretta, prima che la memoria dello squallido sconcio si appanni (non è un caso che perfino Bossi sembra aver rinunciato ad elezioni immediate) può anche darsi che l’era B. finisca non per strategia parlamentare ma per definitivo disgusto dei cittadini.
Però magari ho pensato male; magari alla maggioranza degli italiani la spregiudicatezza, la furbizia, la corruzione paiono qualità. E poi i voltagabbana hanno procurato un danno ulteriore, assai più grave del salvagente gettato a B: ma sono tutti uguali – si dirà – fanno tanto i puri e poi, al momento buono... Così può anche succedere che B&C restino in sella. E allora?
Questa non è una sconfitta, è un’opportunità. Se non si riesce a cambiare la maggioranza, si può rifondare l’opposizione. Si può passare al pettine fitto i partiti ed espellere gli indegni prima che, atteggiandosi a virtuosi, ti pugnalino alle spalle. Si può cogliere l’occasione per smetterla di dipendere dalla magistratura e fare pulizia dall’interno: non perché questo o quello hanno commesso reati (certo, anche) ma perché “politicamente” chi ha frequentazioni equivoche, conflitti di interessi, analfabetismo politico e culturale non è un vantaggio per il partito, non importa quanti voti porta con sé. Si possono superare le divisioni, valorizzare le identità, accettare la riduzione delle tante poltrone di segretario, vicesegretario, coordinatore, vicecoordinatore etc. Si può insomma interpretare la politica come un servizio e non come un mestiere. E quando tutto questo fosse realtà, l’alternativa presentata ai cittadini sarebbe semplice: da una parte le persone perbene e dall’altra quelle per male. E se gli elettori continuassero a preferire quelle per male non sarebbe un dramma: come diceva Lenin, il vero rivoluzionario è quello che, consapevole dell’inutilità dei suoi sforzi, fa freddamente e fino in fondo il proprio dovere.
da Il Fatto Quotidiano, 17 dicembre 2010
Il responsabile che ti meriti
Andrea Orlando è il responsabile del settore giustizia del Pd. È l’autore di un progetto di riforma della giustizia che è un misto di luoghi comuni e di proposte che hanno il solo merito di essere utili a B&C: separazione delle carriere di pm e giudici, processo morto, discrezionalità dell’azione penale. Possiede un titolo di studio: maturità scientifica. Prescindendo dal merito del suo progetto (molto modesto il livello tecnico, in certi casi semplici enunciati ripresi dagli slogan propagandistici di B&C), la domanda che ci si dovrebbe fare è: perché il Pd ha scelto Orlando quale responsabile per la giustizia? Che non è una domanda da poco perché, prima di tutto, è appena ovvio che uno che non sa niente di un problema, se lo mettono ad occuparsene, bene che ci vada proporrà qualche fotocopia di soluzioni già proposte da altri che sapevano quello che dicevano; e, male che ci vada, sparerà qualche… stupidaggine, frutto della sua ignoranza.
Naturalmente si potrebbe rispondere che sarebbe stato bello poter ricorrere a qualche esperto di giustizia ma che c’era poco da scegliere, il convento del Pd Orlando passava. Che però sarebbe una solenne bugia perché, tra le file del Pd, ci sono, tra gli altri, D’Ambrosio, Casson, Della Monica, tutti magistrati con decine di anni di esperienza. Ci sono anche avvocati (tra altri Chiurazzi e Galberti). Insomma c’è gente che conosce bene i problemi della giustizia, ha passato una vita a combatterci e sarebbe stata in grado di proporre decine di ottime soluzioni che avrebbero avuto l’unico torto di essere pertinenti, concrete e di tenere in nessun conto l’impunità di B&C.
In particolare Gerardo D’ambrosio vanta nel suo curriculum la bellezza di 10 disegni di legge da lui proposti al tempo del governo Prodi: vi ricordate? Quello che non ha mosso un dito per proporre una legge sul conflitto di interessi e per abrogare la legge che depenalizzava il falso in bilancio; e che, in compenso, ha partorito un disegno di legge Mastella (altro super esperto di giustizia) in materia di intercettazioni al cui confronto quello in esame oggi al Senato è un capolavoro di tecnica legislativa. C’è da dire che devo essere uno dei pochi estimatori di questi disegni di legge. Forse perché avevano il torto di occuparsi di problemi concreti: tra altro, notifiche (con sospensione dei processi contro irreperibili che costano tempo e soldi e non servono), riduzione dei casi di Appello e ricorso in Cassazione, abolizione del processo abbreviato (che serve solo a garantire una irragionevole riduzione di pena e che costa, in tempo e danaro, quanto un processo normale), ampliamento del patteggiamento (con contestuale ammissione di responsabilità, il che significa utilizzare la sentenza di patteggiamento nei processi civili e amministrativi con risparmio di tempo misurabile in anni).
Il governo Prodi questi disegni di legge non se l’è filati per niente; e adesso comincio a capire che il problema era che non si inquadravano molto nella politica dei dialoghi costruttivi per riforme condivise che sono la specialità di Orlando e del Pd. A questo punto, perché uno che ha la maturità scientifica e che di diritto sa niente (come ampiamente dimostrato dalle sue proposte) sia prescelto in un parterre di avvocati e magistrati esperti, si capisce bene: perché la riforma della giustizia è già scritta: da B&C. E il Pd ha un obiettivo prioritario: che sia sollecitamente approvata. Una riforma condivisa, appunto.
Da Il Fatto Quotidiano, 16 aprile 2010
Le pulizie pasquali
Dunque secondo il Presidente della Repubblica, occorre una
tregua: opposizione e stampa debbono evitare di ricordare ai Capi di
Governo che parteciperanno al G8 le ragioni di dissenso nei confronti
dell’attuale maggioranza e del Presidente del Consiglio (l’opposizione)
e il particolare stile di vita che caratterizza Berlusconi nonché
eventuali informazioni sullo svolgersi dei procedimenti penali che, a
vario titolo, lo riguardano o potranno riguardarlo (l’informazione).
C’è anche chi ha letto il monito del Presidente della Repubblica come
un invito alla magistratura: per il momento stop ad inchieste
giudiziarie che possano coinvolgere esponenti politici e, naturalmente
e in particolare, il Presidente del Consiglio.
Tutto ciò a salvaguardia della dignità e del prestigio internazionale dell’Italia.
Non credo che si possa essere d’accordo: né sui contenuti né sull’opportunità.
Non viviamo per fortuna, in un mondo nel quale sia possibile nascondere
fatti ed opinioni. Tutti i Capi di Stato e l’entourage che li circonda
conoscono benissimo le disavventure del nostro Paese e gli avvenimenti
che, non da oggi, hanno fornito un’immagine di Berlusconi e della
classe politica italiana tutt’altro che lusinghiera. E’ anche ovvio che
le televisioni e la stampa estera, che hanno una tradizione di
professionalità ed indipendenza ben diversa da quella che caratterizza
i nostri organi di informazione, si sono preparate per fornire ai
cittadini dei loro Paesi informazioni importanti sotto il profilo
politico e particolarmente gustose sotto quello del costume.
Insomma, secondo il Presidente della Repubblica, opposizione e
informazione dovrebbero comportarsi come le classiche poco scrupolose
massaie che, si dice, raccolgano con la scopa la spazzatura e la
nascondano sotto il tappeto.
Ma non ha pensato, Napolitano, al pessimo servizio che gli organi di
informazione renderebbero all’Italia se, non sia mai, il suo invito
venisse accolto?
Non ha pensato che all’estero tutti conoscono benissimo le gravi
vicissitudini giudiziarie di una classe politica fondata sul malaffare
e il comportamento privato del Presidente del Consiglio, giudicato, in
quei Paesi, incompatibile con il suo ruolo pubblico?
Non ha pensato, che non c’è modo di nascondere queste nostre disgrazie?
Non ha pensato che un atteggiamento servile ed opportunistico degli organi di informazione italiani darebbe il colpo di grazia all’immagine internazionale del nostro Paese
che apparirebbe come una qualsiasi dittatura in cui non solo il potere
fa quello che vuole e se ne infischia della legge ma è anche in grado
di impedire che i cittadini ne siano informati?
Non ha pensato che dignità e prestigio non si acquistano con ipocrisia
e servilismo ma con il coraggio di non nascondere le proprie debolezze
e con l’impegno a divenire migliori?
Non ha pensato che una manifestazione di indipendenza e autonomia da
parte degli organi di informazione e di quella parte della classe
politica che non si riconosce nei metodi, nello stile, nei contenuti
dell’attuale maggioranza potrebbe dare del nostro Paese un’immagine di
vitalità, di democrazia, di libertà; e che proprio questo (forse, le
ferite aperte nella rappresentazione pubblica dell’Italia sono molte e
profonde) potrebbe contribuire a renderlo più credibile ed affidabile?
E non ha pensato infine che le strumentalizzazioni che i
politici più incauti e spregiudicati avrebbero fatto del suo messaggio
(alludo all’interpretazione della dichiarazione di Napolitano data da
Gasparri, secondo cui la tregua dovrebbe essere osservata anche e
soprattutto dalla magistratura) sarebbero state obbiettiva
dimostrazione per il resto del mondo che ci visita e ci valuta che
l’Italia è un Paese in cui la magistratura non è autonoma e
indipendente e che deve soggiacere agli indirizzi della politica, sia
pure espressi attraverso chi ne è al vertice e che dovrebbe rivestire
un ruolo di arbitro e di garante dei fondamentali principi democratici?
Tutto ciò sui contenuti. Ma, come ho detto, il messaggio di Napolitano
deve essere criticato anche sotto il profilo dell’opportunità.
Perché una tregua dovrebbe essere concessa ad una maggioranza in
difficoltà da un opposizione che, fedele al suo ruolo, lo esercitasse
in maniera conforme ai principi democratici, rivelando le debolezze e
le difficoltà del governo?
Perché, proprio quando queste debolezze e difficoltà potrebbero
consentire all’opposizione di conseguire significativi vantaggi
politici, questa dovrebbe rinunciare ad evidenziarle?
Una tregua avvantaggia sempre chi, in un dato momento, è più debole dell’avversario; e non si è mai visto un arbitro invocare una tregua che vada a vantaggio di uno solo dei due contendenti.
Per finire: ogni opinione è rispettabile e quelle del Presidente della
Repubblica non solo lo sono al massimo livello ma hanno una obbiettiva
autorità che è percepita da tutti i cittadini. E’ proprio sicuro
Napolitano che sia buona cosa definire le condotte riprovevoli del
Presidente del Consiglio oggetto di una polemica da cui è bene (sia
pure temporaneamente) astenersi piuttosto che comportamenti
incompatibili con una carica pubblica di vertice e dunque argomento di irrinunciabile dibattito politico?